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Scalpellini sandonatesi


La lavorazione artigianale della pietra ha avuto in S.Donato V.C. tradizioni ragguardevoli. Nell’abitato archi, portali, finestre, logge, cornici sono tuttora testimonianza visibile di un’attività che aveva saputo raggiungere risultati notevoli. La magnificenza di tanti prodotti  esalta ancora il valore dei nostri artigiani scalpellini, laddove il mestiere è pervenuto alla qualità dell’arte. E’ un capolavoro, da conservare e salvaguardare adeguatamente, la facciata della chiesetta nel cimitero ; sono cesellature le chiavi di molti portali riccamente e finemente lavorate. Sublimazione di fatighe quotidiane, frutto di un temperamento passionale della nostra gente,  “…testimonianza dei pensieri, delle intenzioni, degli scoraggiamenti, della vita di uomini che lavorarono ad innalzare monumenti, con un senso netto della propria individualità, in un rapporto diretto con la natura stessa. Con queste inenzioni la materia del libro che qui sono chiamato a presentare si riscatta da un’arida trattazione dell’ argomento. La dimensione e lo spessore delle vicende umane, ampiamente rappresentative della vitalità di un’arte, sono palesi ovunque, pur nei momenti di una adeguata e necessaria rivisitazione delle tecniche e degli strumenti. Lavoro, sudore, “muscoli indolenziti, albe assonnate“ a scalpellare la pietra dura su commissione, in cambio di un tanto di viveri appena sufficiente a tirare avanti una esistenza sacrificata. L a rete di rapporti sociali rivela conflitti e contraddizioni. Gli scalpellini, giorno dietro giorno, costretti dalle necessità della sopravvivenza fisica, mentre cosi alienavano la propria fatiga, riuscivano spesso a fabbricarsi e a conservare una certa indipendenza morale e spirituale. La pratica artigianale suggeriva loro una concezione politica ricca di connotazioni anarchiche. Maturava nei nostri artigiani, dentro questa prospettiva individualista e libertaria, sul terreno del socialismo, una precisa coscienza di appartenenza sociale. In molte occasioni testimoniarono di non essere venuti al mondo solo per lavorare come bestie. Perfino negli  U.S.A., in terra di emigrazione, furono coraggiosamente alla testa di manifestazioni e di scioperi. La lettura più avanti, riporterà alla memoria uomini e fatti di un’epoca dentro cui il nostro presente affonda ancora le sue radici. Nell’interno la galleria di figure esemplari di scalpellini sandonatesi puo’ essere incompleta. Non è stata intenzione dell’Autorefar torto ad alcuno ; la rassegna potrà essere eventualmente completata dietro suggerimento dei pazienti lettori. Nessuno dovrà sentirsi trascurato. Tutti i protagonisti potranno avere uno spazio in questa loro storia. Storia delle icertezze, delle lotte, delle conquiste, del lavoro, dell’arte di uomini che sono stati gli artefici di una vicenda locale. In fondo tutte le storie locali servono a rivalutare il ruolo e l’influenza che personaggi di “secondo piano“ hanno saputo esercitare sul corso degli avvenimenti. Personaggi che altrimenti non troverebbero posto nella storia dei grandi fatti umani (la storia ufficiale che abbiamo imparato a considerare sui banchi di scuola) e che pure di quei grandi fatti sono stati tra le cause profonde Pervenuto a tali considerazioni ritengo di avere assolto al compito che mi aspettava. Breve presentazione la mia, senza un sommario della materia, per nulla togliere alla curiosità dei lettori. Ho preferito offrire un mio criterio interpretativo, andando, al di là dei contenuti particolari, a cogliere alcuni primi significati. Primo fortunato lettore sento il dovere di ringraziare L’amico Architetto Antonio Antonellis per l’impegno, la passion, la competenza professionale con cui ha lavorato alla redazione di questo pregevole volumetto. E’ una prima pubblicazione sull’argomento, ricerca di estremo interesse , stimolatrice di ulteriori sviluppi e approfondimenti. Sarei tentato di suggerire, ad un neo storico di buona volontà l’assunzione a soggetto dell’intera materia. Il tutto si puo’ leggere come uno straordinario documento di un mondo e di una cultura artigianale che noi oggi, senza nostalgie, abbiamo particolare bisogno di recuperare. In questo momento difficile, mentre la crisi del settore industriale minaccia seriamente i livelli di occupazione, rivitalizzare forme di produzione artigianale potrebbe servire a riaprire serie prospettive di sviluppo . Proprio quello che Antonellis propone “una difesa dell’artigianato, al di là del folklore, come ideologia produttiva.

Pellegrini Antonio



Viviamo un’epoca in cui la catena di montaggio e l’elettronica determinano e condizionano lo sviluppo della nostra società, il patrimonio materiale della nostra cultura è cosi investito da un rapido processo di cancellazione. Dobbiamo saper salvaguardare la tradizionale cultura delle classi popolari come si è espressa dai tempi più antichi, nelle forme orali e materiali che hanno avuto in passato grande importanza, fino a consentire alle classi subalternedi conservare un proprio patrimonio culturale e di trasmetterlo di generazione in generazione. Questo lavoro vuole essere un primo momento di riflessione storico culturale sulla importanza della riappropriazione critica della cultura materiale del luogo. Qui riappropriazione critica deve significare coscienza dell’importanza del ricordare, del conservare, del non disperdere cio’ che è patrimonio della comunità. Sappiamo quale significato fondamentale assumono le attività lavorative nella storia dell’uomo. In ogni attività, specialmente in quella artigianale, è possibile leggere e ritrovare la fatica e l’intelligenza dell’uomo impegnato a trasformare le forme dei materiali predisposte dalla natura. Una lettura ed un approccio non nostalgico, per un ritorno ad un passato ormai remoto, bensì l’obiettivo di collocare il tutto in un processo di sviluppo storico. Questa esigenza di storicizzare e tenere in considerazione ciò che le classi popolari sono riuscite a esprimere ed elaborare in forma autonoma nella loro storia, corrisponde alla necessità di considerare la nascita  e lo sviluppo di tale cultura partendo dall’esperienza di una radical precarietà esistenziale. Se esiste come esiste una specificità storico culturale propria delle classi popolari, in cui esse hanno saputo esprimere una loro visione del mondo, conservare questo patrimonio significa anche acquisire coscienza delle lotte sostenute per migliorare le condizioni di vita. Oggi è in atto un rinnovato interesse (per certi versi una moda) per le tradizioni popolari, corrispondente alla “domanda“  di riappropriazione proveniente da vasti strati. Questo risveglio di interessi per la materia folkloristica presenta per altro evidenti pericoli. Per quel che ci riguarda sintomatica é la riutilizzazione dei portali in pietra, estrapolati all’ambiente originario, trasportati lontano dai luoghi di produzione, sistemati nei palazzi e nelle ville signorili. I manufatti si ritrovano così per lo più in ambienti completamente diversi da quelli nei quali e per i quali erano stati creati (interni di case della piccola e grande borghesia, vetrine di musei, negozi di antiquariato), luoghi nei quali l’oggetto venuta meno la sua funzione originaria, ricreata per lo più artificialmente una neo funzione, e nella sua essenza totalmente “perso“, inserito in un sistema del tutto estraneo. Bisognerebbe quindi sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica, e impedire che avvengano ulteriori deturpamenti in danno di un patrimonio collettivo di così grande valore storico ed artistico. Bisognerebbe restituire inoltre, alla produzione artiginale il suo senso all’interno della società che l’ha prodotta, sfuggendo alle strumentalizzazioni neocolonialiste di certa cultura. Una difesa dell’artigianato dunque, al di là del folklore, come ideologia produttiva.



Gli scalpellini sandonatesi

Parlare dei nostri scalpellini, del loro lavoro, riassumere brevemente la loro vita, le loro vicissitudini le loro esperienze non é certamente cosa facile. Bisognerebbe parlare di un’epoca, di come la gente passava la vita cercando di sopravvivere con fatiga giorno dopo giorno, con la faccia tirata davanti a sé, attraverso una montagna invalicabile di stenti, con i muscoli doloranti, nelle albe assonnate. Avanti, macinando la propria esistenza in mezzo a condizioni che “altri“ avevano stabilito per loro, e che “altri“ conservavano ed imponevano. Bisognerebbe parlare di come gli uomini hanno potuto reagire a questo stato di cose,della loro crescita di coscienza, dai nuovi livelli di cultura da loro conquistati. Come, proprio dalla precarietà esistenziale, rivelarono cultura e maturità socialeche non potevano essere improvvisate o occasionali. Esse erano il frutto di consuetudini politiche, sociali, radicatesi nel corso degli anni in momenti di lotta a difesa della pace, della libertà, del lavoro per tutti, dove molti pagarono di persona nel periodo in cui si indicava ai senza lavoro come prospettiva, la via dell’estero e l’abbandono del proprio paese. Nel 1879 troviamo i nostri scalpellini, impegnati, nel circandario di Boston, in America. Nel 1920 impegnati nel Vermont, in uno sciopero che durò 6 mesi indotto dall’Unione Scalpellini, sotto la presidenza di Costanzo Pagnano, scalpellino sandonatese, per venti anni capo del sindacato scalpellini americano. La stessa unione fù fondata dopo varie vicissitudini dai nostril scalpellini. A S.Donato, famiglie, per intere generazioni, si sono succedute nella nobile arte : i Tempesta, i Di Bona, i Fabrizio, i Cardarelli, I Mazzola, I Cellucci ecc… Numerosi furono I laboratory dove I giovani impararono il mestiere; il laboratorio di Carmagnola e di Donato di Bona, tra i più frequentati. Dopo la Seconda Grande Guerra troviamo tutti impegnati nella ricostruzione. Molti ponti, in pietra di taglio, sono stati innalzati da loro : il “ponte pagliuzza“ il “tre ponti“  il “ponte di napoli“ a sora e in molte altri parti della provincia. La fontana di S. Elia Fiumerapido fù ricostruita interamente dai sandonatesi, tra gli altri Carmagnola, Tempesta, Giovanni Cardarelli, Lucio Leone. Quest’ultimo acora oggi attivo realizza opere di pregevole fattura.  La facciata della chiesa di S. Agata a Ferentino fù innalzata dai sandonatesi : Luigi Tempesta, Di Bona Donato, Di Bona Nicola, Olimpio Cardarelli, eseguirono tutto il lavoro in pietra locale, creando grandi capitelli e portali. La facciata principale del cimitero di S. Donato e della cappella madre furono eseguiti sotto la direzione di Beniamino Di Bona. Intanto iniziarono gli scavi a Montecassino, e la realizzazione del cimitero con il relativo monumento ai caduti.  Le richieste di lavoro per gli scalpellini furono numerose, e quasi tutti parteciparono alla ricostruzione dell’abbazia. Il cimitero polacco fu construito da una squadra di 40 scalpellini sandonatesi. Per 11 anni ebbero lavoro, e seppero dimostrare le loro reali capacità e bravura.Visitare Montecassino oggi è come ripercorrere pietra su pietra le vicissitudini e i sacrifici dei nostri scalpellini. In ogni pietra bocciardata, in quella corretta scelta dei profili e delle proporzioni, in quella pre­cisione degli ornamenti traspare tutta la grandiosità della loro opera. Terminati questi lavori molti scelsero, come abbiamo già sottolineato, la via dell'emigrazione, altri continuarono a lavorare in provincia. Innumerevoli sono le opere sparse in tutta la provincia: Sora, Veroli, Frosinone, Cassino ecc.. sono altrettanti luoghi dove, Donato Fabrizio, Di Bona Nicola, Tempesta Modesto, Fabrizio Primo e Fabrizio Secondo, Olimpio e Cesidio Cardarelli han­no lasciato pregevoli opere in pietra. A Roma gli scalpellini sandonatesi si sono fatti valere. Presso i laboratori del Vaticano, dalla ditta Medici, troviamo nostri valenti scalpellini, bravi maestri dell'ornato e dell'intarsio, direttori di la­boratorio come Donato Cautilli (Tuccio) e Peppino Cautilli. Molti di loro debbono grande riconoscenza a Tuccio in quando lavorando in questi laboratori ha sempre cercato di mettere al loro fianco valenti maestri d'arte. Tra i tanti sandonatesi che hanno lavorato dai Medici vanno ricordati oltre a Tuccio e Peppino Cautilli, Loreto Mazzola, che diresse i lavori di Pompei, Augusto Di Bona, Tempesta Carma­gnola, Luigi Tempesta fratello di Carmagnola. Ancora oggi gli scalpellini sandonatesi che lavorano in quei laboratori, riscuotono grande con­siderazione per le loro capacità nella lavorazione del marmo e nei restauri. Costretti ad emigrare per poter mantenere le proprie famiglie, molti scelsero gli Stati Uniti, dove ancora alcuni di loro vivono e lavorano in laboratori di loro proprietà. Questi uomini, hanno saputo tenere alta e va­lorizzare la tradizione dei loro padri, portando oltre oceano il nome e l'esperienza degli scalpellini san-donatesi. I primi furono i Tocci, i Cardarelli, I Fabrizio, i Di Bona, I Tempesta erano già emigrati nella seconda metà dell'ottocento. Fermatisi in molti a Quincy, città del Mas­sachusetts, la ribattezzarono "la città del granito". Tutt'ora questo nome é registrato nel comune di questa città. Qui possiamo ammirare opere di grande valore artistico, in particolare nel cimitero (Sandonato Quincy). II loro lavoro é sparso in numerose città americane. Famosi sono anche i laboratori artigianali di Barre nel Vermont e di Boston, tra di essi il FREEPORT MARBLE E TILE CO. dove lavora iovanni Cardarelli, il MONTI GRANITE e CO. a Quincy dove troviamo Olimpio Cardarelli e Aldo Fabrizio, il PERPLESS GRANITE COMPANY, dove troviamo Luigi Tempesta, IL LINCOLN GRANITE COMPANY, di Augusto Di Bona, dove lavora Donato Di Bona (p'pucc). I nostri scalpellini in emigrazione entrarono in contatto con la lavorazione del granito molto diversa dalla lavorazione della pietra locale calcarea o del marmo lavorato in Italia. Per molti di loro l'emigrazione segnò una data ben precisa, l'abbandono del mestiere tradizionale, praticato a S. Donato, e l'acquisizione di conoscenze ed esperienze che li avrebbero trasformati poi in veri e propri scultori. Un esempio: Luigi Tempesta, il quale ha fre­quentato una scuola di scultura vicino al famoso scultore tedesco Won SHLITZ specializzandosi in quell'arte. Ornati, monumenti per cimiteri, chiese, statue per parchi, sono la testimonianza delle innumerevoli opere, sparse in numerose città d'America, frutto del loro lavoro. Oggi sono rimasti in pochi a portare avanti questa tradizione, destinata forse a venir meno: Olimpio Cardarelli, Aldo Fabrizio, Giovanni Car­darelli, Lucio Tempesta, Donato Cellucci, Fulvio Cardarelli, Donato Di Bona, Pasqualino Cellucci, Antonio Cellucci...
In Francia, dove i nostri scalpellini hanno la­vorato, troviamo molte tracce della loro attività. Un laboratorio di marmi in Bolevard Garibaldi "BENEZEK" specializzato in restauri, ha visto al­l'opera molti di loro, tra questi Giovanni Cardarelli, che partecipò anche al restauro della cappella di Napoleone nello Chateau di Versailles Coletti Pom­peo, che in questo laboratorio ha lavorato per ben 20 anni partecipando al restauro di quas tutti i musei di Parigi, al Trianon e in numerose abitazioni di famiglie facoltose come i Drefus, gli Onassis, i Dior. Con il laboratorio "BENEZEK" scalpellini san-donatesi hanno lavorato anche per il museo di Strasburgo. Oggi sono rimasti in pochi a battere il mazzuolo e a far 'cantare' lo scalpello sulla pietra: leone Lucio, Cardarelli Cesidio, Fabrizio primo, alcuni non sono veri e propri scalpellini, ma appreso i rudimenti di quest'arte la mettono in pratica raggiungendo ap­prezzabili risultati, tra di essi ricordiamo Cedrone Antonio. (Ang'lantonie) Sopravvive così un'arte ed una tradizione che invece dovrebbe essere più viva che mai.



UTENSILI UTILIZZATI NELLA LAVORAZIONE


fig. (1) LA MAZZO'V'LA (Il mazzuolo)

Martello in ferro (fig. la) e solo successi­vamente in acciaio (fig. Ib) é l'utensile tra­dizionale di questa attività. Lo troviamo in quasi tutte le fasi della lavorazione, utilizzato principalmente per lavorare con punte, scalpelli, gradina, ugnet-ti, ecc..
Originariamente il mazzuòlo era formato da un massello di ferro, il quale durante la lavorazione, con scalpelli temprati subiva una deformazione sulle facce sottoposte ad usura. Si era costretti allora periodicamente, ad andare dal fabbro per rinforzare le parti usurate. con il particolare manico in legno.

fig. (2) 1) GRADINE 2) SCALPELLI 3) PUNTE

Utensili base della lavorazione, da sempre, ne troviamo di diverse dimensioni e fattura, in funzione della lavorazione da eseguire. Prevalentemente in acciaio, seguirono di pari passo l'evoluzione del mazzuolo, ini­zialmente temprati anche in testa (ricono­scibili per la caratteristica forma affusolata) provocavano una maggiore usura del maz­zuolo stesso deformandone le facce. Forse era un semplice fatto economico, rinforzare con l'aggiunta di altro ferro di mazzuolo, che permettere un consumo ec­cessivo degli scalpelli in acciao, più costoso all'epoca. Le gravin' (LA GRADINA) riconoscibili per la loro caratteristica forma a pettine a due tacche, venivano utilizzate sia in fase di sgrossatura, sia di rifinitura. Quando in pre­senza di modanature complesse, parti del pezzo non potevano essere raggiunte dalla bocciarda, veniva utilizzata la gradina che lasciava lo stesso caratteristico segno. Altri utensili sono IL CALCAGNUOLO, scalpel­lo con una sola tacca in mezzo, e L'UGNET-TO utilizzato per le scanalature.




fig. (3) 1) LA P'NAMA 2) LA MARTELLINA

Due utensili questi, di recente quasi del tutto scomparsi, soppiantati dalla bocciarda a te­stine intercambiabili e da quella a lame. La p'nama, martello affusolato alle estremità molto simile al BICCIACUTO (sorta di scu­re a due tagli), precedeva nella fase di la­vorazione, la martellina. Utensile del tutto simile alla p'nama ma provvista di dentature. Ancora oggi possiamo riconoscere i lavori effettuati con questi utensili per il carat­teristico segno a segmenti paralleli tessuti tutti nello stesso verso.

fig. (4) LA B'SCIARDA (la bocciarda)

È l'utensile caratteristico di questo mestiere, utilizzato nella fase di rifinitura. Esso ha subito nel corso degli anni notevoli trasformazioni originariamente la bocciarda era costituita da un unico massello in ferro (fig. 4a) alle cui estremità il fabbro saldava a fuoco due pezzi di acciaio. Con una lima ricavava i caratteristici dentelli. Solo successivamente si importarono le te­stine intercambiabili in acciaio di diverse dimensioni (fig. 4b). La bocciarda a lame (la b'sciarda am'r'cana) (fig. 4c) era costituita da testine formate da un'insieme di lame di acciaio, bullonate su un corpo base, con possibilità di smontarle per sostituirle o affilarle. Queste lame erano di diverse dimensioni e spessore, dalle più spesse per lavori di sgros­satura alle più sottili per le rifiniture.


fig. (5) SQUADRO SEMPLICE
SQUADRA FALSA (calandrino)

Lo squadro semplice, inizialmente in legno, fu sostituito da uno in ferro. Veniva im­piegato per squadrare le facce del pezzo sottoposte alla lavorazione e per altri nu­merosi impieghi. La squadra falsa, introdotta successivamen­te, la cui caratteristica era quella di poter assumere angolazioni diverse, era costituita da un pezzo di legno scanalato e da uno scorrevole metallico o di legno, tenuti as­sieme da un morsetto. Con questo sistema si potevano "squadrare" pezzi a diversa an­golatura.

fig. (6) GLIE P'CCENTOVN (schiantino o ribuzzo)

Utensile particolare, grosso scalpello con punta ottusa e ringrossata, con la testa spianata e l'impugnatura in mezzo, non più lungo di 10-15 cm. serviva per sbozzare i pezzi che si sottoponevano alla lavorazione, togliendo le parti più grosse (schiantan­dole) dando al pezzo forme più regolari. Altro impiego particolare era quello della formazione degli spigoli fig. (a)

fig. (7) BLOCCHETTI PER L'INTAGUARD

Pezzi di ferro a forma regolare o di cuneo, o cubetti in legno duro non più altri di 6-7   cm. venivano utilizzati per spianare o squadrare le facce del pezzo. La loro utilizzazione é illustrata in altra parte del presente volumetto.


fig. (8) 1) GLIE N'TRIGLIE 2) GLIE P'NCIOTT 3) GLIE VEGGIE

Glie p'nciott (Fig. 2) é stato l'utensile tra­dizionalmente usato dagli scalpellini per spaccare i blocchi di pietra, sia in cava che nei vari luoghi di estrazione. La sua utilizzazione era semplice: con una punta si effettuavano dei fori poco profondi, in fila a piccole distanze, vi si inserivano questi utensili non più lunghi di 6-7 cm. e si battevano al­ternativamente con un mazzuolo fino a spaccare il blocco.
Glie n'triglie
(Fig. 1)

lungo utensile a forma di scalpello, veniva utilizzato per praticare i fori nel blocco che dovevano servire per poi inserirvi glie veggie (Fig. 3). Quest'ultimo di importazione, formato da un cuneo di acciaio e da due zeppe di ferro acciaioso (molle) non più grande di 10 cm. veniva introdotto nei fori praticati in pre­cedenza. Battendoli con un mazzuolo si provocava la rottura del blocco nella di­rezione voluta.



fig. (9) 1)COMPASSI 2) UTENSILE PER APPIA­STRARE (masc't'catur) 3) RASCHIETTI
4) RASPETTE

Utensile molto semplice quello per le "masc't'catur", un lungo ferro tondo la cui estremità appiattita veniva scaldata prima dell'uso. Il compito era quello di liquefare e di spandere i diversi mastici per le operazioni di ricongiunzione di pezzi o di rattoppi. Il raschietto, sempre in ferro, veniva uti­lizzato nelle fasi di rifinitura per eliminare le imperfezioni o materiale superfluo derivan­te dalla lavorazione, in punti poco accessibili per opere come chiavi di imposta, capitelli, modanature ecc.. Anche le raspette ave­vano la stessa funzione, e ne troviamo di diverso tipo e grandezza.



fig. (10) LA MAZZETTA (mazza)

Grosso martello in ferro a due bocche, prowisto di una lunga impugnatura era utilizzato prevalentemente in cava per spaccare e sbozzare i blocchi.
Di diverse dimensioni e peso, variabile dai 5 ai 10 ai 18 kg. chi ha avuto modo di lavorare con questo utensile sa quanto sia dura e faticosa la sua utilizzazione.
Un tipo particolare di mazzetta era formato da una bocca e da una estremità a forma di scure. (vedi fig.)



LA LAVORAZIONE DELLA PIETRA

Non sarà mai troppa l'importaznza che daremo ad una pratica artigianale corne quella délia lavo-razione délia pietra, con una sua storia particolare, con suoi personaggi, con sue opère. Prodotti di un mestiere in cui é possibile scoprire testimonianza dei pensieri, délie intenzioni, degli scoraggiamenti, délia vita di uomini che la-voravano ad innalzare monumenti, con un senso netto délia propria individualità e personalità, in un rapporte diretto con la natura stessa. Un'arte che corne ogni atto dell'uomo, acquista valore dal suo specifico processo manuale. Non esiste certamente uno stile, o un ordine propriamente corne oggi noi lo intendiamo, se non quelle dérivante dalla fantasia dello scalpellino, dalla precisione dei disegni, dalle proporzioni tra le parti, dal trattamento délia superficie. Basta considerare le numerose opère in pietra, nel nostro paese, frutto delloro lavoro, per ammirare le stupende lavorazioni di ornato i preziosi disegni délie chiavi di imposta, le complesse linee dei ca-pitelli, la fattura degli stipiti e degli architravi e délie basette. Dobbiamo saper comprendere inoltre quanto différente doveva essere il concetto del disegno da incidersi sulla superficie di un massello di pietra, dove ogni ombra e ogni linea doveva essere trattata con la più estrema delicatezza, dove lo scalpello e la punta non dovevano battere forte per non spezzare l'elemento sottile, dove l'estro dello scalpellino non poteva lasciarsi andare di fronte alla rigorosa di­sciplina cui é soggetta la mano a contatto con la pietra. I prodotti délia lavorazione poi, nascondono anche le fatiche, i sacrifici, il tempo impiegato per trasformare la pietra informe in opéra d'arte. L'Abbazia di Montecassino, dove i nostri scal-pellini hanno lavorato per circa 11 duri e lunghi anni, alla ricostruzione dell'intero complesso, é una ricca testimonianza del loro lavoro. L'intéresse he suscita questa grandiosa opéra, l'austerità e la ricchezza délia mole, dériva proprio dal corne la pietra é stata lavorata. Dovunque, lavorazioni artigianali, vere e pro­prie opère d'arte che rivelano nei nostri scalpellini, capacità e bravura nel trattamento della pietra.


* * *


Per meglio analizzare e comprendere la comples-sività del processo délia lavorazione délia pietra, la sua evoluzione, nella tecnica e negli strumenti u-tilizzati, considereremo due periodi storici succes-sivi. Un primo période che si présenta più ricco di originalità che arriva fino ai primi del 900, ed un seconde più evoluto e più raffinato nella lavorazione, ma per certi versi meno creativo del précédente che arriva fino ai nostri giorni. Il seconde période, forse quello che riusciamo a leggere maggiormente anche per il contributo di-retto di molti scalpellini, e forse perché più vicino a noi, é caratterizzato dalla importazione di tecniche di lavoro e di strumenti derivanti dalla lavorazione del granito dagli Stati Uniti di America.


ALLE ORIGINI

I vecchi scalpellini di S. Donato, quasti tutti di estrazione operaia e contadina si dedicavano a questa attività, o imparavano questo "mestiere" non certo per fini di lucro...
II settore délia lavorazione délia pietra era un settore particolarmente attivo, basterà ricordare che gran parte delle abitazioni venivano costruite in pietra, sfruttando le risorse materiali che offriva il luogo. Bisogna distinguere in questa prima fase, gli scalpellini veri e propri, dai muratori, i quali oltre a realizzare délie ottime costruzioni, riuscivano a rag-giungere risultati apprezzabili con lavori in pietra di semplice fattura. Il mestiere veniva tramandato da generazione in generazione, o imparato allé dipendenze di un ma-stro scalpellino, in alcune famiglie sandonatesi tro-viamo intere generazioni di scalpellini, molti poi emigrati negli Stati Uniti. Il période di apprendistato era lungo e faticoso, e solo in occasione di festività l'allievo scalpellino riceveva una "bazzetta", che consisteva in un com­pense all'apprendista per i lavori svolti. I lavori venivano commissionati al mastro scalpellino, e solo le famiglie più agiate e  benestanti potevano ambire ad opère di un certo valore artistico. Il compenso che ricevevano per il lavoro svolto era quasi nullo. Spesso il costo dell'opera veniva "ammortiz-zato" con lo scambio di generi alimentari per il sostentamento délia famiglia dello scalpellino. Possiamo ben immaginare le condizioni in cui vivevano questi artigiani délia pietra. La pietra, il materiale base di questa attività artigianale, e la sua scelta, rappresentavano per lo scalpellino un momento di particolare importanza, proprio perché dalla giusta scelta del blocco, dalle sue caratteristiche di compattezza e di lavorabilità, dipendeva poi il risultato del lavoro. I blocchi venivano estratti in diverse località del territorio sandonatese, principalmente lungo il val-lone di Força d'Acero, a ponte pagliuzza, nella località cesa di professore ecc... e altrove, dove lo scalpellino trovava blocchi confacenti allô scopo, più vicini allé proprie esigenze. Inoltre, durante la costruzione di case, si era costretti a fare sbancamenti, scavi che  portavano alla luce massi i quali poi venivano riutilizzati per la stessa costruzione ed i migliori accaparrati dagli scalpellini. I blocchi prima di essere estratti venivano "ta-stati" per verificare le loro caratteristiche di la­vorabilità, con una punta. (pietra dolce, pietra focaia) Poi venivano estratti, spaccati con tecniche appropriate, e ridotti a masselli seconde le varie esigenze. Questo lavoro veniva eseguito direttamente dal-lo scalpellino. Per spaccare i blocchi veniva utilizzato un utensile a forma di cuneo glie p'nciott.
 (fig. 8)

Il metodo era semplice, e consisteva nel praticare delle aperture in fila a piccole distanze, a forma di cuneofig.(a) con una punta, non più profondi di 2 – 3 cm.
Successivamente si inseriva questo cuneo nei fori praticati, con una mazza si colpiva fin quando il blocco non cedeva. I blocchi scelti per la lavorazione venivano trasportati a valle mediante slitte formate da tronchi di albero (glie tragliôn) fig. (b). Questa rudimentale attrezzatura veniva trasportata fin sui luoghi di estrazione, a volte impervi, dalle donne sulla testa. Erano poi le stesse che Successivamente trascinavano a valle i blocchi cavati. Bisognerebbe dedicare maggiore attenzione al ruolo svolto dalle donne in quella organizzazione sociale, ed ai sacrifici da loro sopportati per certi versi più gravosi di quelli degli uomini.

LE FASI DELLA LAVORAZIONE

I blocchi di pietra venivano scelti seconde l'o­péra da realizzare, direttamente dallo scalpellino.
Essi venivano prima délia lavorazione vera e propria, sbozzati con punta mazza e schiantino, dando al pezzo délie forme più regolari. La fase délia lavorazione rivelava il carattere del vero scalpellino, il trattamento délia pietra, il modo di lavorare, le tenciche usate, e la cosa più importante "Pocchio" ovvero la capacità e l'intelligenza di saper affrontare le situazioni che venivano a crearsi du­rante il lavoro con intuizione e fantasia erano gli ingredienti fondamentali di un buon scalpellino. Per poter meglio comprendere il processo la-vorativo délia pietra, considereremo la lavorazione di alcuni pezzi scelti, rappresentativi, che meglio pos-sono chiarire le varie fasi délia lavorazione di una qualsiasi opéra. Le varie fasi sono indicative e molto semplificate per facilitarne la comprensione.


STIPITE O PIEDRITTO

Elemento portante di una porta, o di una fï-nestra, sul quale posa l'architrave; se superiormente vi é un arco, lo stipite dicesi più esattamente PIEDRITTO. 


a) La lavorazione inizia con lo spianare una faccia del pezzo grezzo.
Fig. (a)

Si prendeva in considerazione il punto più basso del perimetro délia faccia da livellare. Da quel punto, con una riga e una matita si tracciava una linea in piano sul lato più corto del blocco. Con uno scalpello si intaccava tutta la linea, per avère un punto di riferimento per lo spigolo. Successivamente si lavorava con la punta e lo scalpello, con molta attenzione, eliminando il superflue creando cosî una traccetta di modeste dimensioni, rifinita poi con lo scalpelletto. Il piano délia traccetta veniva controllato con una riga.

b)  Completata la prima traccetta si procedeva al-l'apertura dell'altra sulla faccia opposta, con l'au-silio di due righe. Una veniva posta in piano sulla traccetta fatta in precedenza, mentre l'altra veniva poggiata sulla faccia opposta. Si intraguardavano le due righe fino a creare tra di loro un piano immaginario. Una volta messe in piano le due righe si tracciava una linea a matita sotto la riga in corrispondenza délia traccetta da creare. Successivamente si e-seguivano le stesse operazioni di lavorazione fatte in precedenza.
 Fig. (b)
c) Usando le due tracée eseguite e unendone con una figa, s'i tracciava unalmea sullato àel pezzo e si effettuavano le stesse operazioni eseguite per le lavorazioni precedentei.
(Fig. (c)

d) Tracciato il perimetro délia faccia, l'operazione successiva era quella di togliere il superflue e spianare. Una operazione questa molto delicata che veniva effettuata per fasi successive. Le parti più grosse venivano tolte con punte di diversa grandezza, fino ad arrivare ad uno spessore omogeneo su tutta la faccia, di circa mm. 5. A quel punto ogni scalpellino aveva un proprio metodo di rifinitura, e venivano utilizzati utensili diversi: la martellina, la p'nama fig. (3) la b'sciarda 
fig. (4)

Ognuno di questi utensili, lasciava sulla superficie del pezzo,  i caratteristici segni che possiamo ancora oggi ammirare su queste opère.
Fig. (d)
e) Terminato il lavoro di rifinitura, si procedeva alla squadratura del pezzo mettendo in piano una se­conda faccia. Utilizzando una riga e una matita si tracciava un segno sull'orlo délia faccia spianata. Avendo cura di non compromettere il lavoro fatto, con uno schiantino fig. (6) si asportava tutto il materiale lungo la linea tracciata. Con la stessa tecnica utilizzata per la prima faccia, si scalpellava la nuova traccetta, e si spianava anche Paîtra faccia, controllando costantmente la perpendicolarità con uno squadro in legno. Sempre con la stessa tecnica si procedeva alla rifinitura délie superfici di testa. Fig. (e)

LA MODANATURA

Quanto risalta dal piano, i gusci, gli ovali, le gole, i dentelli ecc.. costituivano l'elemento "décorative" per lo scalpellino, e alla loro lavorazione veniva dedicata molta attenzione. La modanatura, listello sagomato in una cornice, a seconda del tipo di sagomatura si distingue principalmente in: listello o pianetto, tondino, ovolo, guscio, gola diritta o ro-vescia, toro, scozia, ecc...
Fig. (11)

Il modano o sagoma veniva disegnato e suc-cessivamente ritagliato su di una lamiera o di un pezzo di cartone. La complessività délie linee del modano nasceva sia da ricordi di opère viste altrove e ritornate in mente, sia dalla fantasia dello stesso scalpellino, che elaborava questi disegni con grande estrosità. La creazione délie modanature sui blocchi di pietra richiedeva una lavorazione complessa e de-licata. La prima fase consisteva nel disegnare il modano sulle facce di testa del pezzo 
fig. (a).
Questa operazione veniva effettuata, tracciando il modano prima su di una testa, poi con l'ausilio di due righe e sempre con il metodo dell'intraguardo si segnava il modano anche sull'altra faccia. Questo metodo dava sufficiente garanzie di una perfetta esecuzione, impedendo che il lavoro venisse sghembo. La fase successiva consisteva nello spianare la faccia compresa tra i due modani con i metodi già descritti, e successivamente con l'ausilio di una riga si procedeva con molta attenzione e per fasi successive alla rifinitura del pezzo. Gli utensili che troviamo in questa fase délia lavorazione sono identici a quelli utilizzati in precedenza in più le G RADINE, le RASPETTE, i RASCHIETTI, utensili per trattare le parti meno accessibili e rendere uniformi le superfici del pezzo.


GLI ARCHI

La lavorazione di un arco era molto più elaborata e complessa, anche se la tecnica usata e il metodo di lavoro erano gli stessi che per la lavorazione di uno stipite. Gli archi da realizzare erano composti da più parti messe assieme e lavorate séparatamente. Lo scalpellino all'inizio délia lavorazione, in base allé dimensioni dell'opera da realizzare, ricavava le misure necessarie tracciando, a volte per terra, a volte su cartone il suo disegno dell'arco. I più comuni realizzati sono: (a tutto sesto)formato da un semicerchio, (ribassato) formato da una porzione di arco minore délia semicirconferenza, (ritrovato o ellittico) formato da una semiellisse, (a tutto sesto a conci).
Fig. (12)

II tracciamento dell'arco veniva effettuato con mezzi rudimentali, quali un compasso formato da uno spago e un chiodo, e con centine di legno o di lamiera. Arco semplice (senza modanature). La prima fase consisteva nello spianare la faccia in vista con metodi che già conosciamo, succes-sivamente con il rudimentale compasso, a raggio predeterminato, si tracciavano gli archi sulla faccia spianata. A volte per facilitare la lavorazione venivano utilizzate centine di legno o di lamiera corne ri-ferimento. Disegnati gli archi e le testate del pezzo, con squadri di legno e righe si proseguiva nella lavo­razione spianando le facce di testa, avendo corne punto di riferimento costante, il centre dell'arco. Si procedeva poi alla squadratura in corrispon-denza délie testate, quindi si passava alla fase di sgrossatura dell'arco eseguendo le traccette con lo scalpello lungo l'arco disegnato in precedenza. Ovviamente la sgrossatura veniva eseguita sulle facce che interessavano. La parte concava del pezzo richiedeva molta attenzione nella esecuzione, proprio per la difficoltà di un controllo immédiate con riga e squadro. Il pezzo veniva poi rifinito con le tecniche usuali. Fig. (a)

Arco con modanature


Se l'arco présenta modanature di un certo ri-lievo, il processo lavorativo subiva délie variazioni. Una volta squadrato il pezzo e spianate le facce di testa, si procedeva all'applicazione dei modani op-portunamente disegnati, su di esse. Questa era una fase molto delicata, dalla cui precisione dipendeva molto il risultato finale. L'applicazione del modano sulle facce di testa veniva effettuato, corne abbiamo visto, con il me-todo delPintraguardo. Le varie fasi délia lavorazione che si succedevano erano molto difficoltose ed impegnative, dove era necessaria una grande esperienza ed una buona dose d'occhio. L'andamento degli archi veniva costantemente controllato con il rudimentale compasso (spago e chuodo), ma la profondità délie gole, l'altezza dei dentelli e degli ovoli doveva essere controllata co­stantemente e con molta attenzione ad occhio. Possiamo ben immaginare le capacità profes-sionali e l'esperienza richieste per la realizzazione di un simile lavoro. Procedendo per fasi successive, molto cauta-mente, si completava il pezzo con gli utensili visti in precedenza.
Fig. (b)


LA LUCIDATURA

In questo primo période, i nostri scalpellini non avevano metodi di lucidatura veri e propri, come oggi noi li intendiamo. Le superfici venivano lasciate grezze, con il caratteristico segno délia bocciarda. Perô erano ugualmente in grado di levigare le superfici con mezzi molto rudimentali. Il materiale base utilizzato era la sabbia, che veniva sfregata con forza, con l'ausilio di un'altra pietra, sul pezzo da levigare. Se il pezzo presentava modanature complesse, al posto délia pietra venivano utilizzati pezzi di ferro regolari a sezione quadrata. Inoltre, se la lavorazione aveva una certa importanza, si usavano i cocci di mattone, i quali sfregati con forza contre il pezzo lo levigavano, raggiungendo in questo modo ottimi risultati. La quantità di materiale, ed il tempo impiegato per levigare un pezzo anche di piccole dimensioni, danno una idea délia complessività del lavoro.


LE INNOVAZIONI


Le misre condizioni di vita in cui erano costretti tanti lavoratori, fù una délie cause e forse la più importante del fenomeno migratorio nel nostro paese. Molti scalpellini corne abbiamo visto emigraro-no negli U.S.A. Ed è da questo paese che giungono le più importanti innovazioni per il mestiere, sia nei metodi di lavorazione che nella qualità degli utensili. Qui entrarono in contatto con i processi délia lavorazione del granito, molto diversi per certi versi dai metodi da loro utilizzati fino ad allora, e con utensili nuovi e più moderni, in acciaio, che facilitarono il lavoro consen-tendo loro di ottenere migliori risultati. Tutto il processo délia lavorazione subi un salto di qualità. Gli scalpellini cominciarono a lavorare su ordinazione, e spesso la lavorazione veniva effettuata su disegni dettagliati delPopéra da realizzare forniti dai committente. Certamente l'utilizzazione di questi disegni, me-nomô l'artigiano scalpellino, proprio nell'elemento fondamentale délia sua attività, la fantasia e la créativité. I nuovi Utensili in acciaio, le nuove tecniche di lavorazione favorirono la realizzazione di opère d'ar-te di eccezionale valore artistico. Basterà ricordare l'introduzione del martelletto pneumatico, poco usato per la verità da noi, per comprendere il passo avanti compiuto nella lavo­razione.

a) Fase di estrazione del blocco
In questa fase del processo produttivo troviamo una nuova figura professionale, il "cavatore". I cavatori erano persone specializzate in lavori di cava, estraevano, spaccavano, sbozzavano i blocchi e li preparavano in diverse dimensioni, dietro richiesta a pagamento dello stesso scalpellino. Bisogna ricordare che i blocchi venivano estratti a mano senza Pausilio di mine. I nuovi utensili, utilizzati da questi cavatori sono (glie ntriglie, e glie veggie)
fig. (8).

II primo è uno scalpello con una punta particolare, e veniva utilizzato per prativare i fori nel blocco, girandole continuamnte mentre si colpiva, per impedire che restasse incastrato nella pietra. Glie veggie invece era un cuneo di acciaio, che veniva inscrite nel foro praticato in precedenza, con due zeppe di ferro acciaioso (molle) e serviva per spaccare il blocco di pietra. Molti preferivano ancora (glie p'nciott) per la precisione che si aveva nello spaccare il blocco, e perché era più adatto al tipo di pietra locale. Intanto con l'apertura délia strada per Força d'Acero, entré in funzione anche la cava di "valle cupa"; qui si estraeva la famosa ed omonima pietra, da molti ritenuta pregiata per lavori di un certo valore artistico (chiese, cimiteri, scalinate interne ecc...).
La pietra di "valle cupa" rispondeva a determinati requisiti di lavorabilità, di compatezza, presentava venature sul verdognolo,  ed inoltre cosa molto importante, si prestava a mantenere la lucidatura nel tempo. La cava era di proprietà comunale, e l'estrazione era soggetta a tassazione.

b) La lavorazione
L'introduzione di vari utensili, di diversa fattura e qualità facilité e rese più spedita la lavorazione dei blocchi. Alcuni di questi utensili soppiantarono del tutto i prededenti; la bocciarda a lame, a testine intercambiabili, il mazzùolo temprato, diversi tipi di punte e scalpelli in acciaio ed un nuovo sistema d'intraguardo formato da cubetti di ferro o di legno duro f
ig. (7)

L'impiego di questi cubetti abbreviô molto la fase di spianamento délie facce del pezzo. Servivano a facilitare la lavorazione délie traccette perimetrali e venivano utilizzati nel seguente modo: si ponevano tre di questi cubetti in corrispon-denza dei tre spigoli del pezzo,
Fig. (a)
Il piano passante per questi cubetti doveva trovare riscontro nel posizionamento del quarto. Utiliz-zando due righe, una délie quali posta sui cubetti 1-2 e Paîtra poggiata sul 3-4 (quest'ultimo non ancora fisso) e intraguardandole, spostando in alto e in basso il cubetto 4 si creava un piano imma-ginario passante per i quattro cubetti. Successivamente con una matita si tracciava una riga in corrispodenza del piano dei cubetti, e si eseguivano poi tute le operazioni che conosciamo per la lavorazione délie traccette.
Fig. (b)

c) LA LUCIDATURA

L'introduzîone di nuove ed inédite tecniche di lucidatura, permise agli scalpellini di ottenere risultati sorprendenti per lavorazioni di un certo pregio. La lucidatura avveniva per fasi successive e solo dopo che il pezzo aveva subito le fasi viste in precedenza.

1) Arrotatura
In questa fase venivano utilizzati pallini di acciaio di diversa grandezza, che, sfregati con forza dai più grandi ai più piccoli con una pietra adeguata per quel tipo di lavoro, sulla superficie del pezzo e versando acqua per diminuire l'attrito sgrossa-vano la superficie e la preparavano per le fasi successive. Si utilizzavano poi due tipi di trucioli di ferro, i quali in fasi successive venivano sfregati sulla faccia del pezzo fino ad ottenere una superficie molto levigata.

2) Smerigliatura
Levigata la superficie,  si passava ad una fase intermedia utilizzando pietra smeriglio di diversa grana. Dalla grana più grossa alla più piccola strofinando sulla superficie del pezzo, sempre con l'ausilio di acqua si otteneva una superficie molto liscia. Si ultimava il lavoro utilizzando la pietra pomice.

3) Lucidatura
Per lucidare il pezzo veniva utilizzata una sostanza (la spultriglia) che é un abrasivo in polvere, veniva passata sul pezzo con una placca di piombo, versando acqua. L'attrito provocava il distacco di polvere di piom-bo che restava attaccata alla superficie. Successivamente veniva passato sul pezzo l'acido ossalico, con un panno di feltro, il cui compito era quelle di fissare il piombo.


Mastici particolari

I nostri scalpellini non hanno mai voluto ammet-tere l'uso di tali mastici, e quando vi erano costretti chiudevano addirittura i laboratori per non essere visti.Certamente, in queste dicerie non tutto é verità, ma certe ammissioni sono gli stessi scalpellini a farle.Possiamo ben immaginare quanto tenessero al proprio prestigio e a quelle del proprio lavoro.

1) la masc't'catura
Consisteva nella chiusura di fori e correzioni di difetti, provocati da una cattiva lavorazione. Le sotanze base erano la cera, la pece, la polvere di pietra, le quali mediante fusione venivano amal-gamate e ridotte in barrette. Per il loro impiego veniva adoperato un utensile che ci ricorda molto il saldatore a fuoco dello stagnino. (fïg. 9) Riscaldato sul fuoco e messo in contatto con le barrette, le portava alla liquefazione facendole scorrere sul pezzo da rifinire.

2) Unione di due pezzi
Quando durante la lavorazione, parti del pezzo si rompevano, potevano essere riattaccate usando la gomma lacca. Con una fiamma si scaldavano le due facce da unire, vi si spandeva la gomma lacca, si univano i pezzi facendo pressione e successiva-mente si effettuavano le rifiniture.


GLIE MERTALE (il mortaio)

Questo oggetto che originariamente aveva la funzione di contenitore di sale (pista-sale), e che ha dato un grosso contributo alla conoscenza di que-st'arte, veniva lavorato in forme molto semplici, rispondenti alla funzione cui era destinato. Oggi invece, persa la sua funzione originaria, é diventato un oggetto "ricercato", pezzo di antlqua-riato che troviamo in bella mostra in moite case moderne. Alla sua lavorazione lo scalpellino dedicava il suo tempo "libero". Successivamente il mortaio, cam-biando funzione, ha assunto anche una veste diversa, più raffinato negli ornamenti, con fregi, foglie d'a-canto, ovoli ecc...
Le fasi délia lavorazione sono molto semplici: dopo aver scelto accuratamente il pezzo da cui ricavare il mortaio, si spianavano due facce cercando di renderle il più possibile parallèle. Su queste facce a seconda délie dimensioni del pezzo da ricavare, si tracciavano dei cerchi con un compasso, avendo cura di avère i centri sulla stessa perpendicolare.

Si iniziavano cosi le fasi di sbozzatura e per fasi successive le rifniture. All'origine questa lavorazione non era certamente cosî elaborata, ma il tutto era affidato allé capacità dello scalpellino, che creava l'oggetto, con fantasia e bravura. Possiamo oggi ammirare gli stupendi motivi ornamentali derivanti da questa lavorazione incisi sulle facce di questi mortai elaborati con grande estro e fantasia, e di cui gli scalpellini sono gelosi.



I « MACERANTI » (i mûri délia memoria)

Un'altro insieme di personaggi che qui voglia-mo ricordare per il loro immense lavoro svolto e per la loro precisione nella lavorazione délia pietra, sono i « maceranti ».Ovvero, coloro i quali hanno segnato, modellato il nostro territorio, con mûri a secco, vere e proprie opère d'arte. Attività, quella dei « maceranti », che deve es-sere nettamente distinta da quella dei muratori e scalpellini ed aveva una sua spécificité e i propri maestri. Raccontare la loro storia individuale sarebbe una impresa dawero ardua, la loro è una storia di uomini che lavorano con serietà e passione e che hanno avuto fama e prestigio anche fuori di S. Donato.Ovunque troviamo traccia dei loro la lavoro: le « macère » memoria di forme non più conoscibili nella loro originaria e artificiale presenza, rese ormai « natura » dalla natura stessa.Mûri di sostegno su vecchi e nuovi percorsi. Percorsi che si inerpicano verso il centre storico, su verso la rocca. Nella risacca di scala in pietra e gradoni che lambiscono rocce sbozzate per nuove funzioni, sei invitato a guardarti intorno in una armonica simbiosi con il circostante paesaggio di pietra e di terra. Ovunque, dunque, opère che andrebbero difese, dall'invasione dei cemento, con lavori di consoli-damento e di ristrutturazione, valorizzando cosï un materiale tanto caro al luogo: la pietra. Recuperando in questo modo la memoria sto-rica délia vita e del lavoro di uomini che hanno dato un volto al nostro paese. 


ALCUNE CONSIDERAZIONI

Con questo lavoro ho voluto avanzare non solo una esigenza culturale mia, ma ho cercato nei limiti in cui mi è stato possibile, di proporre un lavoro che trovi riferimento in un argomento di interesse collettivo. Per meglio comprendere le nostre tradizioni, la cultura popolare del luogo, le sue radici, i nodi non risolti délia sua subalternità e délia sua autonomia, bisognerebbe riandare alla conretezza délia storia ai suoi rapporti di classe, fare in modo che la gente possa trovare una sua identificazione e possa co-struire una sua cultura. Esiste una proprietà culturale specifica che le nostre classi popolari possiedono corne loro pa-trimonio, ed è essenzialmente una cultura di lavoro, che si rinnova nella pratica artigianale. Oggi soggetta allé ferrée leggi dell'industrializ-zazione e délia crisi economica, schiacciata da una società consumistica, ha perso di vitalità. Recuperare questa cultura significa a mio awiso porre le basi per una diversa concezione délia stessa: il problema délia salvaguardia di questa cultura artigianale, e di tutto il patrimonio culturale e-sistente, deve passare per una attenta ricerca su che cosa salvaguardare, come conservare, e per chi. Creare quindi le premesse affinché l'artigiano scalpellino corne pure tutta una tradizione scal-pellina, destinata a scomparire si consolidi e possa itivece svilupparsi, certamente in condizioni total-mente nuove, in rapporte con le nuove tecnologie, i nuovi strumenti di lavoro e i diversi materiali da utilizzare. C'è bisogno di uno sforzo collettivo, délie i-stituzioni, dei giovani, di coloro che hanno elevato questo mestiere ed arte, gli scalpellini, e di tutti gli artigiani per impedire che vada perso un patrimonio di cosi grande valore. Il mio vuole essere un invito ma anche una speranza.

ELENCO NOMINATIVO DEGLI SCALPELLINI SANDONATESI

BACCARI LORETO
CARDARELLI BENIAMINO
CARDARELLI CESIDIO
CARDARELLI DONATO              Pesc'cà-n
CARDARELLI DOMENICO
CARDARELLI FULVIO
CARDARELLI GIOVANNI
CARDARELLI LORETO
CARDARELLI LUCIO
CARDARELLI OLIMPIO
CARDARELLI PASQUALE
CARDARELLI VOLGRANO
CARDARELLI VINCENZO
CAUTILLI DONATO                      (Tuccio)
CAUTILLI GIUSEPPE
CEDRONE DONATO
CEDRONE FORTUNATO
CEDRONE UGO
CELLUCCI ANTONIO                   Cricch
CELLUCCI CESIDIO
CELLUCCI DONATO                    Cusc-tanzô-v'n
CELLUCCI NICOLA                      Cusc-tanzô-v'n
CELLUCCI NUNZIATO
CELLUCCI PASQUALE                Cricch
CENCI ANACLETO
CENCI DOMENICO
CUCCHI ANTONIO                       Cuccarièg
lCUCCHICESIDIO                          Cuccariègl
COLETTIDONATO                         Ca-p'ralett
COLETTI PIETRO
COLETTI POMPEO
DI BONA DONATO                       p'pùcc
DI BONA AUGUSTO                     Tata R'nà-t
DI BONA COSTANTINO
DI BONA BENIAMINO
DI BONA CESIDIO
DI BONA DOMENICO
DI BONA DONATO
DI BONA FIORE
DI BONA CESARE
DI BONA NICOLA                         N'côla
DI BONA PANFILO
DI BONA TOBIA
DI BONA NUNZIATO
DI BONA REMO
FABRIZIO ALDO                           V'cchiarella
FABRIZIO COSTANTINO
FABRIZIO CARMINE                    Sor maestro
FABRIZIO CARMELO
FABRIZIO IDEALE
FABRIZIO LUCIO
FABRIZIO MARIANO
FABRIZIO PIETRO                        V'cchiarella
FABRIZIO PRIMO                          V'cchiarella
FABRIZIO SECONDO                   V'cchiarella
FABRIZIO SERAFINO
FABRIZIO DONATO                     V'cchiarella
GATTI GERARDO
GATTI NICOLA
LEONE LUCIO
LEONE FRANCESCO
MAZZOLA DONATO
MAZZOLA GIULIO
MAZZOLA ICARO
MAZZOLA LORETO
MARINI BIAGIO
MARINI LUCIO
MAZZOLA CESIDIO
PAGNANO COSTANZO
PAGNANO PIETRO
PERRELLI AMELIO
RUFO BIAGIO                                 C'f liègl
RUFO ANTONIO
RUFO ALDO
RUFO NAZARENO
SACCHETTI AURELIO
SACCHETTI BIAGIO
SALVUCCI LUIGI
SALVUCCI CARMINE
SALVUCCI NUNZIATO
SALVUCCI SERAFINO
SALVUCCI LORETO
TEMPESTA ANSELMO
TEMPESTA CARMAGNOLA
TEMPESTA LORETO
TEMPESTA GINO
TEMPESTA LUIGI
TEMPESTA LUCIO
TEMPESTA MODESTO
TOCCI ACHILLE
TOCCI BENIAMINO
TOCCI CARMINE
TOCCI FRANCESCO
TOCCI NAZARENO

TOCCI LORETO
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